L’organizzazione, le procedure, le metodologie, le competenze e la competitività non si decidono «top down» ma devono obbedire a criteri trasparenti. Da anni dirigo un laboratorio di ricerca alla Statale di Milano e coltivo collaborazioni internazionali, partecipando a bandi e portando milioni di euro alla mia università per pagare il personale e le ricerche su una grave malattia neurologica. Questo mi ha insegnato che solo con la libertà, la competizione, la trasparenza e la responsabilità personale, nel mondo civile, si finanzia e si governa la ricerca che alimenta conoscenza di base e innovazione.

I miei interventi sull’operazione Human Technopole (HT) sono un invito a far sì che,con l’occasione, in Italia si cambi completamente registro sui fondi pubblici alla ricerca. Non sono contraria a un grande progetto come HT, ma al modo in cui è stato concepito e a come viene varato. È quasi imbarazzante ricordare ai colleghi che progetti di investimento delle dimensioni di HT all’estero prevedono ben altre modalità. Spesso partono da una dettagliata e trasparente consultazione interna alla comunità scientifica per dare forma e contenuti alla ricerca di frontiera su cui il governo decide di puntare. Quasi sempre, poi, segue la creazione di una o più entità, competitive, più spesso consortili (anche pubblico-private), per guidare il progetto, con funzioni, regole d’ingaggio e arruolamenti palesi.

Il tutto in competizione per l’assegnazione governativa del finanziamento, distribuito attraverso bandi aperti e valutazioni comparative tra progetti, soggetti partecipanti e curricula per ogni posizione. Questo è l’unico tipo di top-down che ho visto funzionare. Conosco bene alcune operazioni simili, come la BRAIN Initiative statunitense. Mi colpisce l’irragionevolezza di chi si oppone a un metodo che, applicato in Italia, sarebbe giù di per sé rivoluzionario.

A oggi HT è un accordo frettolosamente e arbitrariamente messo in piedi con un ente “prescelto” dal governo che, privo delle competenze nelle scienze della vita e nutrizione previste come tematiche chiave di HT, con garanzia di “chiavi e soldi pubblici in mano”, ha “reclutato” discrezionalmente persone, enti e gruppi per conoscenze personali-professionali, su aree di ricerca individuate per favorire i soggetti con i quali stabilire l’accordo, senza alcuna integrazione con il resto del Paese.

Mi chiedo chi abbia deciso i contenuti e chi poteva proporli. E perché mai un bravissimo immunologo non possa concorrere con la sua idea di “centro” per HT. O per quale motivo si è scelto di ignorare, ad esempio, l’Università dell’Insubria o altri enti e Dipartimenti di Milano, ma di coinvolgere un ente di Trento, e perché il gruppo Y non ha visto incluso il suo centro di imaging molecolare, anche se svolge ricerche stratosferiche di livello internazionale. Mi chiedo perché “affidarsi alla persona” – prescindendo dal nome – e non mettersi “a costruire le regole”, coltivando una concezione personalistica del potere che è tipico retaggio pre-democratico.

Ho letto di similitudini improbabili con altre realtà estere. Si cita il Max Planck (che riceve parte dei suoi fondi dal governo), senza aggiungere che ha dato 33 Nobel alla Germania, che i suoi direttori sono selezionati attraverso competizioni e valutazioni, hanno una durata limitata e i suoi istituti operano in un Paese con un’etica pubblica in grado di imporre le dimissioni a un ministro accusato di aver copiato parte della tesi di dottorato. Intervenendo su queste pagine l‘Istituto Italiano di Tecnologia (IIT) ha definito “rumors” l’ipotesi di essere destinatario di un finanziamento miliardario nell’arco del prossimo decennio.

I “rumors” sono però i reiterati interventi del Presidente del Consiglio, così evidentemente convincenti che vi hanno fatto affidamento ministri, media e lo stesso direttore dell’ IIT che, almeno dallo scorso 24 febbraio, si esprime sulla necessità di un finanziamento stabile pari, a regime, a 150 milioni euro l’anno. I “rumors” sarebbero un decreto legge che, nel conferire 80 milioni all’Ente prescelto indicato con nome e cognome, li definisce “primo contributo”. Nello stesso intervento, IIT fornisce le giustificazioni per il conferimento a sé stesso delle risorse per HT, argomenti che sollecitano ulteriori riflessioni:

1. Il procedimento attraverso il quale è stato scelto IIT sarebbe “accettabile” in altri paesi moderni. Andrebbe solo citato quale paese moderno, oltre il nostro, concepisca e promuova progetti di questa portata a margine di una trasmissione televisiva grazie a un incontro fortuito tra un ministro, alla disperata ricerca di una soluzione per il dopo-Expo, e il direttore scientifico di un ente di ricerca. Circostanza pubblica mai smentita.

2. Sarebbe falso che esistano “prescelti” (enti o ricercatori) chiamati da IIT. Ero stata contattata anch’io. Su Scienza in Rete si può trovare un organigramma mai smentito,con Enti coinvolti,i dipartimenti di HT e i nomi di chi li “coordinerà”. In atti ufficiali di alcuni dei soggetti prescelti si trovano responsabili di progetto, nominati con un mandato che scadrà nel 2017.

3. Sarebbe falso che l’assegnazione finanziaria al progetto avverrà senza peer review. Effettivamente la “revisione internazionale” ci sarà ma, per legge (ispirata dal Governo), sarà di un unico progetto. Nessun confronto tra proposte. In queste condizioni, anche il revisore più critico non frustrerà l’intenzione di un governo di promuovere un nuovo centro per la ricerca, limitandosi a consigliare migliorie all’unica opzione data.

4. Sarebbe falso che IIT si comporta come un’Agenzia di finanziamento. Eppure IIT riceve fondi pubblici che poi in parte ri-eroga attraverso accordi discrezionali con altri enti o gruppi di ricerca anche “solo” per “accrescere” la loro attività. Questo è compito di quell’Agenzia per la ricerca che da sempre manca. Nulla di illecito, ma perché i beneficia non possono competere con la forza delle loro idee direttamente presso la fonte di quelle risorse pubbliche?

5. IIT ricorda che “EXPO si trova a Milano” e che quindi le strutture milanesi sono primariamente coinvolte. Viene da chiedersi se Genova sia un sobborgo di Milano o se Trento – cui appartiene uno degli enti coinvolti – sia alla sua periferia. Sarebbe stato forse più onesto dire che il coinvolgimento, difettando IIT delle competenze circa le materie di HT, era un passaggio obbligato (anche dalla legge: quel «sentiti gli enti territoriali e le principali istituzioni scientifiche interessate»).

6. IIT sarebbe l’unico ente che può fare “International call e tenure track”. In realtà, anche Università e centri fanno bandi internazionali (pubblicità su riviste scientifiche)e redutano dall’estero con tenure track. Peraltro procedure si mili (e mi gli ori) possono essere integrate direttamente in HT.

7. HT è un ente statale di diritto privato (largamente finanziato per legge con fondi pubblici). Per tale motivo dispone, incomprensibilmente, di un tesoretto di 430 milioni immobile da anni mentre tutta la ricerca pubblica italiana vive di briciole. Con queste, purtra abusi e inefficienze, dipartimenti universitari (e Cnr e altri centri di ricerca)vincono progetti ERC, pubblicano su Cell e Science, fanno una valanga di didattica e formano giovani da “regalare” all’estero. Quale potrebbe essere la potenzialità per la ricerca pubblica se questo tesoretto fosse “liberato”? Perché non permettere che per i prossimi 4 anni IIT attinga a quel fondo “accantonato”, risparmiando e re-investendo le risorse liberate? Da ultimo, nella nota dello scorso 22 marzo, Miur e Mipaaf pasticciano sui termini di legge.

L’IIT che, per legge, è l’ente che «elabora il progetto esecutivo» a cui «è attribuito un primo contributo dell’importo di 80 milioni di euro per l’anno 2015 perla realizzazione di un progetto scientifico e di ricerca, sentiti gli altri…», nel comunicato interministeriale diventa l’ente che«coordina in collaborazione con gli altri enti». Il Miur diventa poi «il soggetto coordinatore degli attori coinvolti», un coordinatore che, tradendo il suo mandato di promozione della libera ricerca, esclude ogni altra progettualità dalla competizione per i fondi pubblici, sottoponendone un’unica a valutazione.

IIT sostiene di avere finito il suo lavoro e «quando arriveranno i rapporti» il governo deciderà cosa fare. Intanto, per decreto, IIT ha già vinto i “primi” 8o milioni. La narrazione del progetto è ora quasi imbarazzata nel citare, solo ora, la necessità di bandi, la valutazione parlamentare su contenuti, organizzazioni e coordinamenti mai pubblicamente discussi e/o definiti in modo comparativo. Non auspico fallimenti per il mio Paese. Cerco solo di mettere l’esperienza di scienziata e il ruolo pubblico di Senatrice al servizio della trasparenza, dei cittadini, della libertà della scienza.

Se HT e la ricerca scientifica devono essere il mezzo per attirare investimenti in quell’area serve ancora di più un’Agenzia nazionale della ricerca a garanzia dei meccanismi di valutazione. L’obiettivo indicato dal governo è troppo importante per rinunciare a trasformare questa operazione in una procedura “civile” di “ricerca e innovazione trasparente” di successo. Sarebbe anche l’occasione per ridurre frammentazioni e rilanciare l’organizzazione, le procedure, le metodologie, le competenze e la competitività della ricerca italiana senza padri né padroni.

Fonte: Associazione Luca Coscioni

http://www.associazionelucacoscioni.it/

Articolo tratto dal sole 24 ore di domenica 3 aprile 2016