6mila italiani malati e 18mila potrebbero ereditare questa malattia rara neurodegenerativa che provoca disabilità fisica, demenze, infermità psichiatrica

Movimenti involontari, continui e scoordinati che si fanno progressivamente più frequenti, disturbi cognitivi e del comportamento, alterazioni psichiatriche che possono variare da un umore irritabile fino alla depressione e a vere e proprie psicosi. Stravolge la vita di chi ne è colpito – e dell’intera famiglia – la Corea di Huntington, malattia genetica rara neurodegenerativa, di cui soffrono circa 6mila italiani mentre altri 18mila sono a rischio di ereditarla. Il gene difettoso si trasmette di generazione in generazione: chi ha un genitore malato ha una probabilità del 50 per cento di ammalarsi. Esiste un test genetico in grado di stabilire se la persona a rischio abbia o meno ereditato la mutazione del gene, ma la decisione di sottoporsi all’esame non è semplice: una risposta positiva significa l’annuncio di una malattia che nell’arco di vent’anni porterà a una disabilità motoria, a una demenza, a un’infermità psichiatrica. Ad oggi, infatti, nonostante gli sforzi dei ricercatori di tutto il mondo, non esiste una terapia risolutiva per la Corea di Huntington, né la possibilità di prevenirla.

Le storie

Partendo dall’esperienza di ascolto dei malati e delle persone a rischio, alcune neurologhe, psicologhe, genetiste e famiglie colpite, coinvolte nella ricerca epidemiologica per la Malattia di Huntington nell’ambito del Consiglio nazionale per le ricerche (Cnr) e dell’Associazione Italiana Corea di Huntington-Roma (AICH-Roma), hanno sviluppato un modello di collaborazione multidisciplinare per la gestione dei test predittivi. La storia di quest’alleanza tra medici, ricercatori e famiglie, iniziata nei primi anni Ottanta, viene raccontata dalle protagoniste in un libro “Affrontare il rischio genetico e proteggere la speranza”, edito da Mondadori. È il resoconto di un lavoro trentennale sul campo, dei problemi incontrati, delle soluzioni trovate per accompagnare circa 500 persone a rischio di sviluppare la malattia a una scelta autonoma e il più possibile serena riguardo al test genetico predittivo.

L’ascolto dei malati

«Incontrando i malati e le persone a rischio abbiamo ragionato insieme a loro sul modo migliore di affrontare il problema, su come dare in modo comprensibile le informazioni scientifiche sulla malattia e i possibili risvolti del test sulle loro vite – spiega la genetista Marina Frontali, ricercatrice del Cnr –. Ogni volta abbiamo di fronte una persona che ha diritto di comprendere, e quindi decidere se sapere o meno del proprio futuro genetico. E va accompagnata anche dopo che ha preso una decisione, a partire dalla comunicazione del risultato – che andrebbe fatta alla presenza di genetista, psicologo e neurologo – fino ai follow-up successivi».