Caro Aurelio,

una divagazione e alcune osservazioni sul convegno di sabato 18 maggio prima che i ricordi vengano assorbiti dall’umidità di questo maggio piovoso.

Venerdì mi trovavo al ristorante le cui grandi insegne reclamizzavano il trionfo della carne alla brace; mentre gustavo la mia pizza venivo incuriosito da una giovane donna dai lineamenti delicati, piuttosto pallida, di un pallore che sfiorava l’anemia; lei aspettava il suo turno mentre uno stuolo di camerieri svolazzante le passava accanto con piatti ancora sfrigolanti bellamente ignorandola o gridandogli che c’erano altri prima di lei; trascorsi altri 20 minuti è arrivato l’agognato “piatto”.  Una misera bistecca all’apparenza pallida anche lei. “Ma io l’avevo ordinata al sangue! – dice – per lei ormai si sta facendo tardi. Devo tornare al lavoro e per oggi è andata così.”

Trovo la cosa un poco buffa e la seguo con gli occhi mentre esce dal locale delusa e accompagnata dalla mia empatia (o simpatia).

Al convegno arrivo di primo mattino e ritrovo i volti già noti e a me cari. Il brusio è contenuto così come il dolore e prevalgono i sorrisi e la speranza. Inizia la bella e interessante relazione della ricercatrice Belga e alla fine mi chiedo se sia un piccolo o grande passo verso una cura definitiva della Còrea. In ogni caso sarà il futuro a dirlo. Altri farmaci da tempo sono in sperimentazione e in questo momento i malati e le loro famiglie devono sentirsi meno soli e i giovani meno spaventati. Lasciami dire, Aurelio, che sono degli eroi (come altro potrei chiamarli) tutti quelli che si stanno sottoponendo a terapia genica!

E poi ci sei stata tu giovane donna di cui non ricordo il nome che con la tua lettera e la tua commozione hai trasmesso anche a me un poco del tuo dolore.

Poi, alla fine sono uscito nella luce del giorno per avviarmi alla stazione: dovevo camminare, dovevo mangiare i dolcetti della ditta Cazzaniga e dovevo anche fumare una sigaretta.

Francesco