PREMIO GIOVANI BELLOCCHIO 2022

PRIMO PREMIO GIOVANNI BELLOCCHIO … PERCHÉ E A CHI.

E’ stato un onore per me con-segnare, durante il Convegno dell’AICH di dicembre, il premio Giovanni Bellocchio. Si tratta di un premio, come ho spiegato du-rante l’evento, che apparente-mente non ha nulla a che vedere con la ricerca scientifica e la medi-cina, che sono il mio “pane quoti-diano”, ma che forse riguarda aspetti che dovrebbero essere fon-damentali nella professione medica e nella ricerca scientifica in gene-rale.
Per chi non lo sapesse, e credo siano davvero pochi, Giovanni era il marito di Wanda ed era da sem-pre una presenza costante e silen-ziosa nell’associazione, pronto ad aiutare chiunque ne avesse biso-gno, rispettoso del pensare altrui ma pronto ad esprimere con con-vinzione le proprie idee su salute, malattia e senso della vita e non da dottore o professore ma come chi ognuno di questi aspetti lo ho vissuto sulla propria pelle, reinterpre-tato e messo a servizio degli altri. E allora il significato di questo premio è legato a una serie di parole e con-cetti che sono ispirazione di questa associazione: presenza, supporto, ascolto, aiuto, salute, compren-sione e benessere. La scelta del vin-citore si è basata sulla segnalazione diretta da parte delle famiglie e dei pazienti di persone che, ispirate da questi concetti, hanno “fatto la dif-ferenza” nella gestione della ma-lattia. E così si è rapidamente deli-neata la figura di un medico di base che si è preso cura di un paziente con Malattia di Huntington. È una storia “normale” ma straordinaria perché la normalità nella gestione delle malattie croniche è diventata una rarità, avendo perso negli anni, per i motivi più diversi, molti aspetti legati all’empatia e alla re-lazione. Ha vinto il premio qual-cuno consapevole che la profes-sione medica implica il curare in un senso globale perché il benes-sere non è la mera assenza di ma-lattia. Qualcuno che in piena pan-demia e lock-down, periodo in cui il lavoro “forzato” a casa e la ge-stione quotidiana della persona con la Malattia di Huntington ha portato lo stress a livelli altissimi, si è preso cura di Floriana la moglie di un paziente, l’ha ascoltata e con-sigliata. E poi si è preso cura di Toto che aveva iniziato ad avere pro-blemi di deglutizione tali da cau-sare una polmonite ad ingestis; è riuscito a gestire la situazione a do-micilio senza necessità di ospeda-lizzazione e, lavorando in equipe con il neurologo e lo psicologo dell’associazione, ha evitato il pas-saggio alla nutrizione artificiale. Sono state settimane difficili du-rante le quali Toto ha osservato un regime alimentare con cibo semi-solido ma poi piano piano ha ri-preso a mangiare quasi normal-mente. Toto ha ritrovato uno stato di benessere tornando a godere della compagnia degli amici du-rante una cena al ristorante e ri-prendendo una delle passioni che aveva abbandonato da tempo: la pittura. Floriana ha scritto che Toto ha avuto una ripresa sia sul piano cognitivo che sul piano fisico ma cosa più bella ha ripreso a ridere con i suoi amici.
Il dott. Carlo Fulgenzi non ha gua-rito la Malattia di Huntington ma ha curato Toto e nello svolgere il suo lavoro con passione e dedizione ha fatto la scelta giusta per il suo paziente, permettendogli di conti-nuare a vivere e di ricominciare a ridere.
Non è difficile capire perché sia stato un onore premiare il Dott. Carlo Fulgenzi.

Dott.ssa Silvia Romano