Eravamo colleghe, Marina ed io, entrambe ricercatrici dello stesso Istituto CNR, il glorioso Istituto di Psicologia. Glorioso perché sotto la guida di un medico, colto e sensibile, Raffaello Misiti, collegava nelle sue tematiche di ricerca scienza e società.

E dunque eravamo colleghe ma non ci incontravamo mai, quasi non ci conoscevamo, io al primo piano, convolta in studi sullo sviluppo cognitivo, lei al terzo piano a fare esperimenti negli stabulari.

Così fui molto stupita il giorno in cui entrò nella mia stanza con in mano le bozze di stampa di un testo inglese di Genetica che stava traducendo in italiano. Disse che aveva pensato di regalarmele sperando avessi voglia di leggerle, sperando che io potessi appassionarmi alla Genetica che certo era scienza antica ma, a suo avviso, anche modernissima, ed era certa che avrebbe avuto un rapido sviluppo.

Dissi che non ne sapevo quasi niente, la ringraziai per il libro e promisi che lo avrei letto e le avrei fatto sapere… Fu così che Marina entrò nella mia stanza e nella mia vita, perché la genetica era davvero affascinante e, al di là della passione di ricerca-laboratorio che poteva suscitare in medici e biologi, anche una psico-filosofa come me ne intuiva le possibili ricadute etiche, sociali, psicologiche. Ero entusiasta e così andammo dal nostro direttore a informarlo che avremmo collaborato a progetti comuni aprendo in Istituto un fronte di ricerca nuovo o, come si usava dire allora, ricerca di frontiera. Vari colleghi anziani cercarono di dissuadermi perché Marina aveva fama di avere un “caratteraccio”, ostinata, sempre pronta a dar battaglia mentre io apparivo più pacata, dialettica, comprensiva. “Attenta a te, ti farà a pezzi!” mi dicevano.

Eravamo alla fine degli anni ’70, andammo all’estero a inizio anni ’80 per formarci nei rispettivi settori di competenza: lei in Inghilterra, a Cardiff, da Peter Harper che stava creando un Registro Genetico per una malattia rara e dal nome difficile, che nessuno conosceva, la Còrea di Huntington; io andai in California, a Berkely, da Seymour Kessler, il creatore del counseling psicologico in ambito genetico. Tornate in Italia iniziammo subito a lavorare insieme ad una indagine epidemiologica sulla Malattia di Huntington nella Regione Lazio.

Era la fine del 1981 e non abbiamo mai smesso di lavorare insieme. Marina non mi ha fatto a pezzi, come temevano i vecchi colleghi, e il suo carattere impulsivo ha saputo trovare dialettica e mediazioni così come la mia pacatezza ha trovato toni di furia di fronte a molte ingiustizie. Ci siamo sempre trovate d’accordo sulla tutela delle persone a rischio e sul garantire la loro libertà di scelta.

La scorsa estate, prima di sapere di questa tragica pandemia che avrebbe travolto le nostre vite, alla fine di una mattinata di consulenze, mentre riflettevamo sulle persone incontrate, le decisioni prese, ciascuna di noi esponendo come sempre il proprio punto di vista, Marina fece una riflessione sul futuro, sulla sua età e la necessità di cominciare a cercare un suo possibile successore. Era sulla porta dell’ambulatorio, e andando via concluse dicendo “nessuno è insostituibile!”.

Mi venne da riflettere su questo assioma che sembra scolpito nella roccia, continuamente ripetuto, una sorta di verità rivelata che si è mantenuta attraverso i secoli, da una generazione all’altra, e che mi sembrò assolutamente falsa e inaccettabile già mentre lei usciva dalla stanza. Le scrissi nel pomeriggio una lunga mail che diceva, in sostanza, non ci pensare nemmeno, nessuno è insostituibile è una bugia che gli umani hanno costruito su altari di falsa modestia, tu non sei sostituibile da nessuno, non pensare di andartene lasciandomi qualche sostituto. Noi abbiamo costruito delle esperienze di ricerca con certe caratteristiche perché abbiamo condiviso certi principi di base, perché abbiamo caratteri opposti ma complementari …. tu non sei affatto sostituibile!

Si commosse e non ne parlammo più finché quattro giorni fa non ha “deciso” di andarsene, lasciandomi desolata in una specie di terra di nessuno, in cui non vedo più obiettivi e futuro.

Si sa che il dolore raramente viaggia da solo, in genere vuole compagnia, e così da un paio di giorni se n’è andato Giovanni. Anche lui sarà insostituibile perché questo è ciò che accade con le persone speciali: lasciano un vuoto profondo e anche se la vita va avanti in realtà tutto è cambiato.

Il suo volontariato in Associazione è stato generoso, creativo, soprattutto verso i giovani malati ai quali lo avvicinava uno slancio immediato del cuore. Tutto quello che aveva imparato nella dolorosa esperienza con i suoi tre figli, tutti andati via anzitempo per problemi che forse la scienza curerà già domani, tutto quello che aveva capito lo metteva a servizio di giovani che ne avevano bisogno. Giovanni non è stato come molti che in analoghe circostanze si chiudono in un cupo e rancoroso dolore, no, Giovanni era uno spirito luminoso sempre pronto al sorriso e alla battuta in dialetto napoletano.

Si stavano molto simpatici Marina e Giovanni, lei amava i personaggi del folklore di Napoli e lui era sempre disposto al racconto. Ora avranno tutto il tempo per scherzare e anche commuoversi, come a volte accadeva, a seconda delle storie. Per noi che siamo rimasti, invece, non so immaginare nulla con chiarezza perché la presenza della pandemia aggrava il dolore e inibisce energie e progettualità.

Quelle che ci hanno lasciato erano persone insostituibili e davvero nulla sarà più come prima. Serve un grande sforzo d’immaginazione e spero che ritrovandoci insieme riusciremo a prendere decisioni aperte al futuro.

GJ